sabato 31 maggio 2008
Un tuffo nell'orrore dei Lager nazisti.
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venerdì 30 maggio 2008
Recensione del libro "Ebano", di Ryszard Kapuscinski.
Ryszard Kapuscinski è stato un giornalista e scrittore polacco. Il suo passato di reporter traspare dallo stile semplice a asciutto delle pagine di questo interessante libro, che può essere visto come una carrellata delle esperienze accumulate nei lunghi anni trascorsi dall'autore in Africa. Esperienze che hanno dato modo a Kapuscinski di fare molte riflessioni sulle peculiarità del continente nero e delle differenze culturali tra i popoli che lo abitano e quelli occidentali. In particolare l'autore ha potuto apprezzare, nel suo multidecennale viaggio nel continente africano, di osservare la parabola discendente che lo ha condotto, a partire dalle verdi promesse dell'indipendenza dai padroni europei del primo dopoguerra, a diventare una terra desolata, dove miseria, fame, sete e guerre endemiche mietono milioni di morti all'anno. Parabola discendente la cui causa va ricercata, secondo Kapuscinski, nella mentalità stessa degli africani e nella loro incapacità di stare in piedi da soli. Il libro comunque regala al lettore anche molti affreschi del continente nero, aprendo una finestra su un mondo a noi per molti aspetti alieno, meraviglioso e al tempo stesso terribile. Un libro che comunque vale la pena di leggere, se non altro perchè l'autore si mantiene sempre molto lontano da facili luoghi comuni e frasi fatte.
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giovedì 29 maggio 2008
Perchè l'Africa si è ridotta così male?
"Ne parliamo dettagliatamente un giorno con A., un vecchio inglese residente qui da molti anni. E cioè: la forza dell'Europa e della sua cultura, al contrario di molte altre culture, risiede soprattutto nella sua capacità critica e soprattutto autocritica, nella sua arte di indagare e analizzare, nelle sue continue ricerche, nella sua inquietudine. La mentalità europea riconosce di avere dei limiti, accetta la sua imperfezione, è scettica, dubbiosa, si pone interrogativi. Le altre culture sono prive di questo spirito critico. Anzi tendono alla boria, a considerare perfetto tutto ciò che è loro, sono acritiche nei propri confronti. Attribuiscono la colpa di tutto esclusivamente agli altri, a forze estranee (congiure, agenti, dominazioni straniere sotto varie forme). Interpretano ogni critica come un attacco malevolo, come un segno di discriminazione, di razzismo. I rappresentanti di queste culture considerano la critica come un offesa personale, come un tentativo deliberato di umiliarli, perfino come un modo di infierire. A dir loro che la città è sporca, reagiscono neanche avessimo detto che sono sporchi loro stessi, che hanno le orecchie, il collo e le unghie nere. Invece di sviluppare lo spirito critico, sono impastati di rancori, di complessi, di invidie, di insofferenze, di permalosità, di manie. Ciò li rende culturalmente, strutturalmente incapaci di progredire, di creare in sé una volontà di trasformazione e di sviluppo.
Le culture africane (perché sono molte, così come sono molte le religioni) appartengono per caso a questi acritici intoccabili? Certi africani come Sadig Rasheed hanno cominciato a chiederselo, cercando di scoprire come mai, nella gara dei continenti, l'Africa arrivi sempre ultima."
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mercoledì 28 maggio 2008
Domande senza risposta.
"... Ripenso all'accampamento che abbiamo superato partendo da Dakar. Alla sorte dei suoi abitanti, alla provvisorietà, allo scopo e al senso di quelle esistenze, di cui non chiedono ragione a nessuno, nemmeno a se stessi. Se il camion non porta i viveri, moriranno di fame, se l'autocisterna non porta l'acqua, moriranno di sete. In città non hanno niente da raggiungere, in campagna niente a cui tornare. Non coltivano, non allevano, non creano. Non studiano. Non hanno indirizzi, soldi, documenti. Tutti hanno perso la casa, molti la famiglia. Non hanno a chi rivolgersi per per sporgere denuncia, nessuno da cui aspettarsi qualcosa.
La domanda sempre più fondamentale del mondo odierno non è come nutrire la gente, visto che, a parte le difficoltà organizzative e di trasporto, il cibo abbonda. La vera domanda è: che fare della gente? Che fare della presenza sulla terra di tutti questi milioni e milioni di persone, della loro energia non sfruttata, della forza che si portano dentro e che non sembra servire a nessuno? Qual'è la collocazione di questa gente nella grande famiglia umana? Quella di cittadini con tutti i diritti? Di fratelli danneggiati? Di intrusi invadenti? ..."
L'autore lascia queste domande senza risposta...
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domenica 25 maggio 2008
L'Africa, il continente perduto.
- L'Africa non è per niente una realtà omogenea. Tra l'altro, la sua suddivisione nei numerosi stati in cui è frammentata è stata fatta in modo del tutto arbitrario dagli occupanti europei. Il fatto è che per la cultura africana (perlomeno per la stragrande maggioranza dei popoli che la compongono), la mera suddivisione spaziale ha scarsa rilevanza. Essenziale è invece la divisione per etnie, tribù e clan. Il numero di queste realtà - a noi occidentali non molto comprensibili - è praticamente sterminato.
- Ognuna delle innumerevoli etnie e tribù in cui è frammentata la popolazione africana ha ben radicato un suo particolare sistema di credenze, valori e tabù di vario tipo. La religione ha un'importanza centrale per la gente dell'Africa, che nella sua gran massa è ancora animista (termine generico che in realtà raggruppa un'universo sterminato di credenze diverse).
- Pur essendo un continente enorme, uno dei problemi di base dell'Africa è la totale mancanza di mezzi di comunicazione interna. Questo è uno degli elementi che rende impossibile il crearsi di un'economia efficiente.
- La visione del mondo dell' uomo africano - tipo è mediamente del tutto opposta a quella dell'occidentale - tipo. Tanto uno è individualista, tanto l'altro vive essenzialmente in funzione del suo clan. Uno ha una percezione del tempo e dello spazio indipendente da sé (regalo del progresso scientifico), l'altro ha una percezione del tempo e dello spazio del tutto soggettiva. Tanto uno è dinamico, tanto l'altro vive in una condizione di "attesa passiva". Considerazioni che possono sembrare banali, ma che in realtà sono alla radice del stato di degrado impressionante in cui si è ridotta l'Africa.
- Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli stati africani hanno cominciato a rendersi indipendenti dal controllo occidentali. Dopo una partenza promettente, le popolazioni africane non hanno saputo autodeterminrsi.
- La responsabilità del fallimento totale dei popoli africani nell'autogovernarsi va imputato essenzialmente a loro stessi. Di fatto le loro èlite hanno cercato di copiare il peggio dell'Occidente: sete di potere e denaro, mentalità predatoria e parassitaria, assenza di scrupoli e ferocia inaudita nel perseguire i propri interessi personali. Illuminante a tal riguardo l'esperienza della Liberia, paese creato a fine '800 con schiavi liberati nel Nordamerica. In poco tempo, gli ex-schiavi, scimmiottando la società sudista che li schiavizzava, sono diventati essi stessi schiavisti, sottomettendo senza pietà i nativi. Questo paese è poi collassato (come la maggior parte degli altri) nella seconda metà del '900, nel solito bagno di sangue a sfondo etnico.
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giovedì 22 maggio 2008
Una finestra su un altro mondo.
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mercoledì 21 maggio 2008
E adesso mi faccio un giro in Africa.
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martedì 20 maggio 2008
Recensione del libro "La casa", di John Dickson Carr.
Questo giallo è ambientato nella Lousiana, nel 1927. In una vecchia casa - sulla quale circolano strane voci - si riunisce un'eterogenea compagnia di vecchi e nuovi amici. La padrona di casa ci lascia le penne in modo apparentemente inspiegabile. Poco dopo anche suo fratello subisce un'aggressione da parte di uno sconosciuto, alla quale tuttavia riesce a sopravvivere. Diverse persone cominciano a indagare, in modo farraginoso. Alla fine si scoprirà il colpevole, dopo duecento pagine di supposizioni, vuoti vaniloqui e perdite di tempo varie. Non spiego tutta la trama perché sarebbe un'altra stucchevole perdita di tempo. Ci sono molti personaggi (troppi, molti inutili), trattati abbastanza superficialmente e tra i quali è facile perdersi. L'autore si dilunga troppo, molti dettagli che alla fine si rivelano essere fondamentali sono solo accennati e si perdono in una marea di inutilità, il libro nel suo insieme appare troppo diluito e la tensione che si respira nelle prime pagine si perde per strada, lasciando il campo prima a una semplice curiosità e poi a una sequela di annoiati sbadigli. Un libro del tutto mediocre. Peccato.
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domenica 18 maggio 2008
Lettura finita!
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sabato 17 maggio 2008
Che palle!
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mercoledì 14 maggio 2008
"La casa", di John Dickson Carr: una mezza delusione.
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lunedì 12 maggio 2008
Una storia che stenta a decollare.
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sabato 10 maggio 2008
Il nuovo libro.
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mercoledì 7 maggio 2008
Recensione del libro " Sostiene Pereira", di Antonio Tabucchi.
Gran bel libro. Scritto in modo scorrevole, semplice e coinvolgente, senza inutili retoriche. Antonio Tabucchi, scrittore di razza, utilizza un curioso artificio letterario: tutto il romanzo è scritto come se si trattasse del verbale di un interrogatorio, continuamente costellato da infiniti "sostiene Pereira". Al lettore non è dato sapere davanti a quale tribunale sia finito Pereira. Non credo neanche sia necessario saperlo. Forse è il tribunale della sua coscienza, che a un certo punto si sveglia e gli impone di prendere posizione contro la dittatura e l'oppressione, svegliandosi dal compiacente torpore dove si era adagiato. Comunque sia, un libro che veramente vale la pena di leggere.
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domenica 4 maggio 2008
L'orrore delle dittature.
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venerdì 2 maggio 2008
Sostiene Pereira.
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giovedì 1 maggio 2008
Recensione del libro "Dieci piccoli indiani", di Agatha Christie.
Dieci persone, molto diverse per carattere, estrazione sociale e stile di vita, vengono invitate da un misterioso personaggio in una moderna villa su un isola. Questa eterogenea compagnia si ritrova così completamente isolata dal mondo esterno, in quanto non c'è alcun mezzo di comunicazione con la terra ferma, se non una barca che ogni tanto porta i rifornimenti. Il misterioso ospite tuttavia non c'è. Si avvicina inoltre una tempesta minacciosa. Un quadro abbastanza inquietante, che tuttavia peggiora drammaticamente quando una voce - che risulterà poi essere originata da un grammofono - accusa tutti gli invitati di essere responsabili di uno o più omicidi. Scoppia un pandemonio, in quanto tutti gli invitati respingono ogni addebito e cominciano a rendersi conto che c'è qualcosa di profondamente sbagliato in quella riunione. Ma il peggio deve ancora venire. Perché gli ospiti cominciano a morire. Il primo decesso può sembrare un incidente, ma non i successivi. I superstiti devono quindi affrontare una situazione a dir poco assurda: l'isola è deserta (al di fuori di loro, ovviamente), gli omicidi si susseguono implacabili e quindi l'assassino deve essere uno di loro. Ciliegina sulla torta, le persone sembrano morire in modo da soddisfare il testo di una infantile filastrocca che è incorniciata nelle camere degli ospiti.L'idea è molto bella. Il libro è scritto bene, è molto coinvolgente, Agatha Christie si diverte a caratterizzare i vari personaggi e a descrivere i loro pensieri e stati d'animo nell'affrontare questa situazione assurda e angosciante. Si può anzi dire che Nigger Island - il luogo isolato dal mondo dove avviene la storia - rappresenta proprio un "laboratorio" dove l'autrice si diverte a vivisezionare l'intimo delle persone, nel tentativo di separare comunque con una linea netta il bene dal male. Se nel corso della storia gli omicidi appaiono veramente inspiegabili, tanto che forte è la tentazione di ricorrere al metafisico per trovare una soluzione, in realtà nel finale l'ordine universale - tutto puritano - viene alla fine ristabilito. Tutti gli invitati finiscono per riconoscere le loro responsabilità, tanto da fare accettare a molti di loro la morte violenta come una inevitabile e anzi giusta conclusione. Una distinzione così netta tra il bene e il male personalmente mi fa sorridere, ma al di là di queste considerazioni filosofiche rimane il fatto che questo libro è un eccellente giallo che vale sicuramente la pena di leggere.
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