sabato 5 luglio 2008

La precarietà della vita.

Continua a rilento la lettura del libro "Slow Man", dello scrittore sudafricano J.M Coetzee. Lettura a rilento non per repulsione nei confronti del libro - di per è molto interessante - quanto per mancanza di tempo. Il libro - scritto in terza persona - narra la triste storia di Paul Rayment, sessantenne che viene travolto da un'automobilista e che perde una gamba in seguito all'incidente. Evento traumatico che costringe questo vecchio solitario e orgoglioso a riconsiderare tutta la sua vita, in primis la certezza della sua tranquilla routine. In effetti è facile dimenticarsene, ma la nostra vita è sempre appesa a un filo.

lunedì 30 giugno 2008

La nuova lettura.

Ho comprato il libro "Slow Man", di J. M. Coetzee, scrittore sudafricano che ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 2003. Insomma qualcosa di molto più impegnato rispetto all'ultima lettura, il divertente "La famiglia Spellman", di Lisa Lutz.

domenica 29 giugno 2008

Recensione del libro "La famiglia Spellman", di Lisa Lutz.


La protagonista del libro, Isabel Spellman, è una trentenne che vive ancora in famiglia. Una famiglia molto particolare, quella degli Spellman, in quanto tutti i suoi membri vengono in qualche modo coinvolti nel particolare lavoro dei genitori: un'agenzia privata di investigazioni. Questo fatto sconvolge tutti i normali equilibri, visto che in pratica tutti i membri si spiano e pedinano reciprocamente, determinando una serie di situazioni grottesche e molto divertenti. E' soprattutto Isabel a venire continuamente controllata, visti i suoi trascorsi non proprio cristallini e la sua movimentata vita sentimentale, continuamente monitorata dalla madre (e non solo). La mania dei pedinamenti, dei sotterfugi e delle segrete investigazioni finisce comunque per complicare inutilmente la vita di tutta la famiglia, che subisce periodiche crisi fino ad arrivare alla scomparsa di Rae, l'irrequieta figlia minore in piena crisi adolescenziale. Questo fatto si somma alle periodiche sparizioni dello zio Ray (impenitente puttaniere, alcolista e giocatore d'azzardo) e alla ormai irreversibile crisi del rapporto di Isabel con il suo ultimo ragazzo.
Insomma un libro originale e molto divertente, ottimo per una lettura di puro svago, scritto interamente in prima persona, fornendo quindi al lettore il punto di vista della protagonista, Isabel Spellman. L'intreccio della storia è molto accattivante, in quanto si fondono insieme le disavventure sentimentali di Isabel, le investigazioni dell'agenzia Spellman e tutte le problematiche della famiglia, animate da personaggi come minimo imprevedibili. Un cocktail veramente godibile, una scrittrice da tenere d'occhio, visto che questo è il suo primo libro, uscito in America nel 2007 e in Italia quest'anno.

lunedì 23 giugno 2008

Prime impressioni.

In questo tranquillo weekend ho letto un centinaio di pagine del libro "La famiglia Spellman", della scrittrice Lisa Lutz. Una lettura piacevole e divertente, per il momento. La protagonista, Isabel Spellman, è una ragazza trentenne che lavora nell'agenzia investigativa di famiglia. Il libro al momento si presenta come la storia della vita dei suoi componenti, che condividono le deformazioni professionali degli investigatori privati, con tutte le situazioni divertenti che ne derivano. Il libro promette bene, spero che il proseguo sia all'altezza.

sabato 21 giugno 2008

Il prossimo libro.

Dopo la lettura impegnata di "Arancia Meccanica", mi rilasserò con il libro "La famiglia Spellman", della giovane scrittrice Lisa Lutz. Una lettura - spero - spensierata e divertente. Il libro è uscito in Italia nel 2008. Vediamo un pò...

venerdì 20 giugno 2008

Recensione del libro "Arancia Meccanica", di Anthony Burgess.


Il giovane Alex - protagonista del libro - è il capo di una piccola banda di quattro teppisti scatenati, dediti - durante la notte - a furibonde azioni di ultraviolenza ai danni dei poveri malcapitati che passano sul loro cammino. Il libro è scritto in prima persona, il lettore si trova a vivere le tragiche esperienze dal punto di vista del giovane protagonista, del quale può leggere le azioni e i pensieri nel suo particolare slang - il Nasdat - inventato di sana pianta dall'autore. Alex è la personificazione stessa del male, in quanto dichiaratamente gode delle sue azioni malvagie e depravate, senza mai porsi il minimo problema di giustificare il proprio mostruoso comportamento. Al contrario, egli si presenta come una vittima della società in cui vive - una non molto ben definita istopia ambientata in un futuro (speriamo) improbabile. Tuttavia dopo avere massacrato una vecchietta inerme viene catturato dai poliziotti e sbattuto a marcire in un'orrenda prigione. Qui la sua natura intrinsecamente malvagia lo porta a ruffianarsi il cappellano, nella speranza di potere guadagnare la libertà per tornare alla sua vita di furti, pestaggi e stupri innominabili. Gli viene proposta come facile via di fuga dalla galera il famigerato "trattamento Ludovico", un abominevole trattamento di condizionamento psicologico in seguito al quale il suo subconscio rifiuta ogni comportamento violento, al quale associa una sensazione di insopportabile malessere fisico. In altre parole, Alex VUOLE fare il male, ma non può - suo malgrado - metterlo in pratica. Rimesso in libertà, si ritrova a vivere in un mondo malato, dove i suoi ex compagni di teppismo sono stati assunti dalla polizia e dove i suoi familiari lo rifiutano. Pestato dalla polizia, rifiutato dalla sua stessa famiglia e strumentalizzato da loschi figuri (caricatura dell'estrema sinistra), Alex, che soffre atrocemente per la sua condizione, decide di farla finita, gettandosi dalla finestra. Tuttavia sopravvive all'esperienza, venendo strumentalizzato dalla stessa classe politica che lo aveva usato come cavia per il "trattamento Ludovico" (satira dell'estrema destra), venendo quindi reinserito a viva forza nella società, dove torna a delinquere pur essendo foraggiato lautamente dal sistema. Tuttavia Alex sente il bisogno di allontanarsi dalla sua vita da teppista, mettendosi alla ricerca di una compagna per "sistemarsi", non soddisfare una propria necessità etica, ma per semplice accettazione di suoi meccanismi fisiologici .
Un libro molto complesso, scritto dall'autore per meditare sul concetto di libertà dell'individuo, e sui metodi che la società civile può/deve usare per stabilire un'ordine al suo interno. Dal mio punto di vista devo dire che è molto facile prendere le parti di Alex, piuttosto che della società, che alla fine risulta essere molto più depravata e senza ideali degli stessi teppisti dai quali si deve difendere. Mi sembra veramente mostruosa la visione che Alex ha della propria vita alla fine del libro, quando egli decide di abbandonare la sua nuova banda per "mettere su famiglia", rispondendo a mere esigenze biologiche sue, pur sapendo che tale scelta non risponde ad alcuna necessità morale o etica, ma a una semplice conformazione a modelli a lui - tutto sommato - esterni. Insomma una visione del mondo totalmente negativa. Burgess, in un'appendice finale del libro, dichiara che il libro "Arancia Meccanica" doveva essere

"una sorta di manifesto, addirittura una predica sull'importanza di potere scegliere."

Fermo restando che sono completamente d'accordo con le intenzioni dichiarate dell'autore, devo dire che dal mio punto di vista questo libro è una critica feroce nei confronti di TUTTA la società occidentale, a partire da quello che dovrebbe essere il suo caposaldo fondamentale, cioè la famiglia, descritta da Burgess come un vuoto contenitore senz'anima, anzi, una fabbrica di risibile ipocrisia. Burgess si è divertito, usando il potente strumento della satira, a smontare pezzo per pezzo tutto il nostro mondo, cominciando dal concetto stesso di democrazia, ponendo al lettore domande fondamentali dalle quali si è tuttavia guardato bene di fornire risposte. E lo apprezzo per questo.
Gran bel libro, devo dire, pienamente all'altezza del film omonimo realizzato da quel genio del cinema che risponde al nome di Stanley Kubrick.

giovedì 19 giugno 2008

Un drammatico dilemma.

Continua l'interessante lettura del libro "Arancia Meccanica", di Anthony Burgess. Alex, il giovane teppista protagonista del libro, viene alla fine catturato dopo avere massacrato una vecchietta inerme, e sbattuto in galera. Qui gli viene proposta la "tecnica Ludovico", un inumano procedimento che costringe l'individuo a scegliere il bene, grazie a tecniche di condizionamento psichico che nella mente del condannato associano alle azioni negative un insopportabile malessere fisico che costringe il delinquente - suo malgrado - a mantenere comportamenti "buoni". Riporto il pensiero in merito a questa tecnica del cappellano del carcere, che si pone il problema della moralità di questa tecnica. Come si vede, non è scritto in slang Nasdat perché non sono parole pronunciate da Alex, né suoi pensieri.

"... La bontà viene da dentro, 6655321. La bontà è qualcosa che si sceglie. Quando un uomo non può scegliere, cessa di essere un uomo.
...
So che passerò delle notti insonni per questo. Che cos'è che Dio vuole? Dio vuole il bene o la scelta del bene? Un uomo che sceglie il male è forse in qualche modo migliore di un uomo al quale è stato imposto il bene? Sono questioni profonde e difficili, piccolo 6655321. ..."

Notare come il cappellano si rivolga ad Alex chiamandolo con il suo numero di matricola, analogamente a quanto succedeva nei lager nazisti. Comunque questo è il tema centrale del libro: il valore fondamentale della possibilità di scegliere, per un individuo, tra il bene e il male.

mercoledì 18 giugno 2008

Il Nasdat.

Ho cominciato a leggere il libro "Arancia Meccanica", di Anthony Burgess. Il libro narra le tragiche esperienze vissute (da vittima e da carnefice) da Alex, un ragazzo che vive in una alienata società del futuro e che si nutre di ultraviolenza. Capo di un gruppo di quattro adolescenti, divide la sua vita tra le disumane violenze gratuite perpetrate durante la notte e un un tranquillo tran tran da figlio di una famiglia-bene durante il giorno. Il libro è scritto tutto in prima persona, utilizzando un curioso slang - denominato "Nasdat" - che è stato inventato dall'autore. Il protagonista, Alex, di fatto incarna il male allo stato puro: egli gode a pestare, torturare e stuprare, ammettendo questa sua condizione e senza accampare la minima giustificazione morale. Anzi. Di fatto si pone nei confronti del lettore come una povera vittima del sistema sociale in cui vive. Posto un brano dove si può apprezzare il pensiero di Alex in merito al male e il linguaggio utilizzato da Anthony Burgess:

"Ma, fratelli, questo mordersi le unghie dei piedi su qual'è la causa della cattiveria mi fa solo venire voglia di gufare. Non si chiedono mica qual'è la causa della bontà, e allora perché il contrario? Se i martini sono buoni è perché così gli piace, e io non interferirei mai con i loro gusti, e così dovrebbe essere per l'altra parte. E io patrocinavo l'altra parte. In più, la cattiveria viene dall'io, dal te o dal me e da quel che siamo, e quel che siamo è stato fatto dal vecchio Zio o Dio ed è il suo grande orgoglio e consolazione. Ma i non-io non vogliono avere il male, e cioè quelli del governo e i giudici e le scuole non possono ammettere il male perché ammettere l'io. E la nostra storia moderna, fratelli, non è la storia di piccoli io coraggiosi che combattono queste grandi macchine? Parlo sul serio, fratelli, quando dico questo. Ma quello che faccio lo faccio perché mi piace farlo."

lunedì 16 giugno 2008

Arancia meccanica.

Oggi sono andato in libreria e ho notato su uno scaffale il libro "Arancia Meccanica", di Anthony Burgess, dal quale è stato tratto l'omonimo film di Stanley Kubrick. L'ho comprato all'istante. Una cosa che mi ha sempre affascinato è la comparazione tra un film e il libro dal quale è stato tratto. In genere si dice che il libro è meglio del film, ma in questo caso si tratta di una lotta tra titani...

domenica 15 giugno 2008

Recensione del libro "La fattoria del diavolo", di Andrea Maria Schenkel.

In una piccola comunità agricola tedesca nel primo dopoguerra avviene un terribile fatto delittuoso: in una isolata fattoria tutti i membri di una famiglia (e la loro serva) vengono orrendamente massacrati a colpi di piccone. Il libro è scritto come il resoconto di un vecchio abitante del villaggio che torna nel suo paese natio per raccogliere le testimonianze dei suoi compaesani sull'episodio di cronaca nera, da lui appreso leggendo un giornale. I resoconti dei vari personaggi, scritti in prima persona e dal taglio decisamente giornalistico, sono intervallati da brani in terza persona in cui il lettore può immergersi nella descrizione - centellinata - di quanto veramente accadde nella fattoria. L'autrice crea abilmente delle false piste per cui fino alla fine non si capisce chi è l'assassino, che in realtà è un'insospettabile della piccola comunità. Il quadro che viene fatto dell'ambiente di campagna non è certo idilliaco. Gli abitanti vengono mediamente descritti come persone che, sotto l'apparenza di una vita tranquilla, bigotta e perbenista, in realtà vivono in un mondo fatto di solitudine, grettezza, frustrazioni e disperazione. Il libro è brevissimo, si può tranquillamente leggere in un'oretta scarsa. Infatti è lungo solo 147 pagine, ma siccome è suddiviso in una marea di capitoletti, intervallati tra l'altro da una litania di preghiere che invocano il perdono di Dio, lo scritto è veramente poco. Che dire. Una libro che si fa leggere, nulla di più, certo che non capisco come un romanzo giallo di questo tipo - senza infamia nè lode - possa diventare un best-seller internazionale. Misteri del marketing? Non lo so...

sabato 14 giugno 2008

Una settimana da dimenticare.

Ho avuto una settimana veramente da dimenticare. Voglio che il suo ricordo si perda nell'oblio. Non avuto neanche il tempo di continuare la lettuta del libro che stavo leggendo. Mi sa che mi conviene riprenderla da zero...

domenica 8 giugno 2008

Più che un giallo un resoconto giornalistico.

Questo weekend ho avuto (purtroppo) poco tempo per leggere. Ho comunque cominciato il romanzo giallo "La fattoria del diavolo", libro d'esordio della scrittrice Andrea Maria Schenkel. E' suddiviso in una fredda sequenza di resoconti di alcune persone, ambientato di un villaggio tedesco subito dopo la guerra (non ho capito al momento se la prima o la seconda guerra mondiale). Finora non è morto nessuno. I resoconti sono molto asciutti, quasi di stampo giornalistico, senza nessuna descrizione dei personaggi. Mah.

giovedì 5 giugno 2008

La fattoria del diavolo.

Oggi ho comprato il libro "La fattoria del diavolo", libro d'esordio della scrittrice tedesca Andrea Maria Schenkel, pubblicato nel 2006. Un romanzo giallo che ha venduto 700000 copie solo in Germania, e che è già stato tradotto in una decina di lingue. Sono molto curioso.

martedì 3 giugno 2008

Recensione del libro "Se questo è un uomo", di Primo Levi.


C'è poco da recensire. Ho letto questo libro per colmare una mia lacuna culturale. Pubblicato nel 1947, arricchito successivamente da un'interessantissima appendice scritta dall'autore nel 1976, vuole essere una testimonianza sulla mostruosa realtà dei Lager nazisti. Senza mai calcare la mano nella descrizione del sistematico annientamento, mentale e morale prima che fisico, dei prigionieri dei campi di sterminio mazisti, Primo Levi ha lasciato un grave monito all'umanità: dobbiamo rimanere sempre vigili, affinchè certe mostruosità non accadano più. Un libro imperdibile, che per la sua natura non ha molto senso (secondo me) valutare da un punto di vista meramente letterario o stilistico.

Come sono pututi accadere simili orrori??

Oggi ho terminato la lettura del libro "Se questo è un uomo", di Primo Levi. Come noto si tratta del resoconto delle atroci esperienze vissute in prima persona nei Lager nazisti dallo stesso autore. Il suo scopo dichiarato era quello di lasciare una testimonianza, un ricordo, un'epigrafe delle atrocità naziste, amonito per i posteri. Rimane senza risposta razionale la domanda su come simili orrori siano potuti accadere. Lascio parlare l'autore:

"... I personaggi di queste pagine non sono uomini. La loro umanità è sepolta, o essi stessi l'hanno sepolta, sotto l'offesa subita o inflitta altrui. Le SS malvagie e stolide, i Kapos, i politici, i criminali, i prominenti grandi e piccoli, fino agli Haftlinge indifferenziati e schiavi, tutti i gradini della insana gerarchia voluta dai tedeschi, sono paradossalmente accomunati in una unitaria desolazione."

"... I Lager nazisti sono stati l'apice, il coronamento del fascismo in Europa, la sua manifestazione più mostruosa; ma il fascismo c'era prima di Hitler e di Mussolini, ed è sopravvissuto, in forme palesi o mascherate, alla sconfitta della seconda guerra mondiale. In tutte le parti del mondo, là dove si comincia col negare le libertà fondamentali dell'Uomo, e l'uguaglianza tra gli uomini, si va verso il sistema concentrazionario, ed è questa una strada su cui e difficile fermarsi. Conosco molti ex prigionieri che hanno capito bene quale terribile lezione è contenuta nella loro esperienza, e che ogni anno ritornano nel "loro" campo guidando pellegrinaggi di giovani: io stesso lo farei volentieri se il tempo me lo concedesse, e se non sapessi che raggiungo lo stesso scopo scrivendo libri, ed accettando di commentarli agli studenti."

"... Ma nell'odio nazista non c'è razionalità: è un odio che non è in noi, è fuori dell'uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso. Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.
Per questo, meditare su quanto è accaduto è un dovere di tutti. Tutti devono sapere, o ricordare, che Hitler e Mussolini, quando parlavano pubblicamente, venivano creduti, applauditi, ammirati, adorati come dèi. Erano "capi carismatici", possedevano un segreto potere di seduzione che non procedeva dalla credibilità o dalla giustezza delle cose che dicevano, ma dal modo suggestivo con cui le dicevano, dalla loro eloquenza, dalla loro arte istrionica, forse istintiva, forse pazientemente esercitata e appresa. Le idee che proclamavano non erano sempre le stesse, e in genere erano aberranti, o sciocche, o crudeli; eppure vennero osannati, e seguiti fino alla morte da milioni di fedeli. Bisogna ricordare che questi fedeli, e fra questi anche diligenti esecutori di ordini disumani, non erano aguzzini nati, non erano (salvo poche eccezioni) dei mostri: erano uomini qualunque. I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi; sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere che e ad obbedire senza discutere, come Eichman, come Hoss comandante di Auschwitz, come Stangl comandante di Treblinka, come i militari francesi di vent'anni dopo, massacratori in Algeria, come i militari americani di trent'anni dopo, massacratori in Vietnam."


lunedì 2 giugno 2008

La mostruosa realtà dei campi di sterminio.

Continua in questo ozioso weekend la lettura del libro "Se questo è un uomo", di Primo Levi. Si tratta di una dichiarata testimonianza della devastante esperienza vissuta dall'autore in uno dei campi di stermino in cui era suddiviso il complesso di Auschwitz. Scopo di questi campi era il deliberato massacro dei suoi ospiti, che prima di venire uccisi nel corpo venivano spezzati nella mente, con criteri scientifici volti a fare dimenticare ai deportati la loro appartenenza la genere umano. Cito l'autore:

"Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e a bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere sé stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine "Campo di annientamento", e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo."

Mostruoso. Ma vero.

domenica 1 giugno 2008

Se questo è un uomo.


Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.


(da "Se questo è un uomo", di Primi Levi)

sabato 31 maggio 2008

Un tuffo nell'orrore dei Lager nazisti.

Il prossimo libro che leggerò è "Se questo è un uomo", di Primo Levi. Credo si possa considerare un classico della letteratura mondiale, citato ovunque, che racconta le tragiche esperienze vissute in prima persona dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz. Forse sarebbe più corretto definirlo campo di sterminio. Una lettura molto impegnata e credo poco piacevole (per l'orrore dei contenuti, non per la qualità dello scritto), ma credo che una sana rinfrescata di memoria faccia bene.

venerdì 30 maggio 2008

Recensione del libro "Ebano", di Ryszard Kapuscinski.

Ryszard Kapuscinski è stato un giornalista e scrittore polacco. Il suo passato di reporter traspare dallo stile semplice a asciutto delle pagine di questo interessante libro, che può essere visto come una carrellata delle esperienze accumulate nei lunghi anni trascorsi dall'autore in Africa. Esperienze che hanno dato modo a Kapuscinski di fare molte riflessioni sulle peculiarità del continente nero e delle differenze culturali tra i popoli che lo abitano e quelli occidentali. In particolare l'autore ha potuto apprezzare, nel suo multidecennale viaggio nel continente africano, di osservare la parabola discendente che lo ha condotto, a partire dalle verdi promesse dell'indipendenza dai padroni europei del primo dopoguerra, a diventare una terra desolata, dove miseria, fame, sete e guerre endemiche mietono milioni di morti all'anno. Parabola discendente la cui causa va ricercata, secondo Kapuscinski, nella mentalità stessa degli africani e nella loro incapacità di stare in piedi da soli. Il libro comunque regala al lettore anche molti affreschi del continente nero, aprendo una finestra su un mondo a noi per molti aspetti alieno, meraviglioso e al tempo stesso terribile. Un libro che comunque vale la pena di leggere, se non altro perchè l'autore si mantiene sempre molto lontano da facili luoghi comuni e frasi fatte.

giovedì 29 maggio 2008

Perchè l'Africa si è ridotta così male?

Il continente nero ha avuto la sua grande occasione nella seconda metà del secolo scorso, quando uno dopo l'altro praticamente tutti gli stati in cui è diviso hanno ottenuto l'indipendenza. In molti si aspettavano che le popolazioni autoctone, giovani e con a disposizione ricchezze naturali enormi, raggiungessero rapidamente gli standard di benessere occidentali. Così non è stato. Anzi. Perché? Riporto un brano tratto dal libro "Ebano", dello scrittore polacco Ryszard Kapuscinski:

"Ne parliamo dettagliatamente un giorno con A., un vecchio inglese residente qui da molti anni. E cioè: la forza dell'Europa e della sua cultura, al contrario di molte altre culture, risiede soprattutto nella sua capacità critica e soprattutto autocritica, nella sua arte di indagare e analizzare, nelle sue continue ricerche, nella sua inquietudine. La mentalità europea riconosce di avere dei limiti, accetta la sua imperfezione, è scettica, dubbiosa, si pone interrogativi. Le altre culture sono prive di questo spirito critico. Anzi tendono alla boria, a considerare perfetto tutto ciò che è loro, sono acritiche nei propri confronti. Attribuiscono la colpa di tutto esclusivamente agli altri, a forze estranee (congiure, agenti, dominazioni straniere sotto varie forme). Interpretano ogni critica come un attacco malevolo, come un segno di discriminazione, di razzismo. I rappresentanti di queste culture considerano la critica come un offesa personale, come un tentativo deliberato di umiliarli, perfino come un modo di infierire. A dir loro che la città è sporca, reagiscono neanche avessimo detto che sono sporchi loro stessi, che hanno le orecchie, il collo e le unghie nere. Invece di sviluppare lo spirito critico, sono impastati di rancori, di complessi, di invidie, di insofferenze, di permalosità, di manie. Ciò li rende culturalmente, strutturalmente incapaci di progredire, di creare in una volontà di trasformazione e di sviluppo.
Le culture africane (perché sono molte, così come sono molte le religioni) appartengono per caso a questi acritici intoccabili? Certi africani come Sadig Rasheed hanno cominciato a chiederselo, cercando di scoprire come mai, nella gara dei continenti, l'Africa arrivi sempre ultima."

mercoledì 28 maggio 2008

Domande senza risposta.

In Africa muoiono ogni giorno un numero incredibile di persone. Muoiono di fame, di sete, di malattie in genere (ma non sempre) curabilissime. Muoiono dimenticate da tutti. Un problema immane. Riporto questo brano tratto dal libro che sto leggendo, "Ebano", di Ryszard Kapuscinski:

"... Ripenso all'accampamento che abbiamo superato partendo da Dakar. Alla sorte dei suoi abitanti, alla provvisorietà, allo scopo e al senso di quelle esistenze, di cui non chiedono ragione a nessuno, nemmeno a se stessi. Se il camion non porta i viveri, moriranno di fame, se l'autocisterna non porta l'acqua, moriranno di sete. In città non hanno niente da raggiungere, in campagna niente a cui tornare. Non coltivano, non allevano, non creano. Non studiano. Non hanno indirizzi, soldi, documenti. Tutti hanno perso la casa, molti la famiglia. Non hanno a chi rivolgersi per per sporgere denuncia, nessuno da cui aspettarsi qualcosa.
La domanda sempre più fondamentale del mondo odierno non è come nutrire la gente, visto che, a parte le difficoltà organizzative e di trasporto, il cibo abbonda. La vera domanda è: che fare della gente? Che fare della presenza sulla terra di tutti questi milioni e milioni di persone, della loro energia non sfruttata, della forza che si portano dentro e che non sembra servire a nessuno? Qual'è la collocazione di questa gente nella grande famiglia umana? Quella di cittadini con tutti i diritti? Di fratelli danneggiati? Di intrusi invadenti? ..."

L'autore lascia queste domande senza risposta...

domenica 25 maggio 2008

L'Africa, il continente perduto.

Continua la piacevole e molto interessante lettura del libro "Ebano", di Ryszard Kapuscinski. E' scritto molto bene ed è una miniera di interessanti considerazioni e riflessioni sulla dimenticata realtà africana. Gli spunti sono innumerevoli, ho deciso di prendere nota solo di alcune cose, a mio avviso le più significative della visione che Kapuscinski ha del continente nero.
  • L'Africa non è per niente una realtà omogenea. Tra l'altro, la sua suddivisione nei numerosi stati in cui è frammentata è stata fatta in modo del tutto arbitrario dagli occupanti europei. Il fatto è che per la cultura africana (perlomeno per la stragrande maggioranza dei popoli che la compongono), la mera suddivisione spaziale ha scarsa rilevanza. Essenziale è invece la divisione per etnie, tribù e clan. Il numero di queste realtà - a noi occidentali non molto comprensibili - è praticamente sterminato.
  • Ognuna delle innumerevoli etnie e tribù in cui è frammentata la popolazione africana ha ben radicato un suo particolare sistema di credenze, valori e tabù di vario tipo. La religione ha un'importanza centrale per la gente dell'Africa, che nella sua gran massa è ancora animista (termine generico che in realtà raggruppa un'universo sterminato di credenze diverse).
  • Pur essendo un continente enorme, uno dei problemi di base dell'Africa è la totale mancanza di mezzi di comunicazione interna. Questo è uno degli elementi che rende impossibile il crearsi di un'economia efficiente.
  • La visione del mondo dell' uomo africano - tipo è mediamente del tutto opposta a quella dell'occidentale - tipo. Tanto uno è individualista, tanto l'altro vive essenzialmente in funzione del suo clan. Uno ha una percezione del tempo e dello spazio indipendente da sé (regalo del progresso scientifico), l'altro ha una percezione del tempo e dello spazio del tutto soggettiva. Tanto uno è dinamico, tanto l'altro vive in una condizione di "attesa passiva". Considerazioni che possono sembrare banali, ma che in realtà sono alla radice del stato di degrado impressionante in cui si è ridotta l'Africa.
  • Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli stati africani hanno cominciato a rendersi indipendenti dal controllo occidentali. Dopo una partenza promettente, le popolazioni africane non hanno saputo autodeterminrsi.
  • La responsabilità del fallimento totale dei popoli africani nell'autogovernarsi va imputato essenzialmente a loro stessi. Di fatto le loro èlite hanno cercato di copiare il peggio dell'Occidente: sete di potere e denaro, mentalità predatoria e parassitaria, assenza di scrupoli e ferocia inaudita nel perseguire i propri interessi personali. Illuminante a tal riguardo l'esperienza della Liberia, paese creato a fine '800 con schiavi liberati nel Nordamerica. In poco tempo, gli ex-schiavi, scimmiottando la società sudista che li schiavizzava, sono diventati essi stessi schiavisti, sottomettendo senza pietà i nativi. Questo paese è poi collassato (come la maggior parte degli altri) nella seconda metà del '900, nel solito bagno di sangue a sfondo etnico.
Quanto sopra è estremamente sintetico, me ne rendo conto, ma non potrebbe essere diversamente. La cosa che più mi piace in Ryszard Kapuscinski è che egli cerca di fotografare la terribile realtà africana senza nascondere i suoi inimmaginabili orrori, ma senza mai cadere nella retorica o in facili buonismi o peggio ancora nel solito mea culpa occidentale. Un ottimo giornalista che ha scritto un gran bel libro.

giovedì 22 maggio 2008

Una finestra su un altro mondo.

Ieri sera, prima di andare a dormire, mi sono letto una cinquantina di pagine del libro "Ebano", di Ryszard Kapuscinski. Una buona lettura. Di fatto è un libro autobiografico, in quanto l'autore descrive le sue esperienze africane, continente che ha girato in lungo e in largo in qualità di giornalista. Kapuscinski infatti fino al 1981 ha lavorato come corrispondente estero dell'agenzia di stampa polacca PAP. Il libro è articolato in numerosi capitoli, dove l'autore guarda con occhio disincantato alla frammentata e per molti aspetti aliena realtà del continente Africano. Realtà aliena per l'occhio del visitatore occidentale, ovviamente, anche se proveniente dall'ex blocco sovietico. Kapuscinski scrive molto bene e per il momento la lettura è estremamente interessante, in quanto l'autore predilige il punto di vista dell'uomo qualunque, stando alla larga da facili retoriche e qualunquismi inflazionati. Spero continui così.

mercoledì 21 maggio 2008

E adesso mi faccio un giro in Africa.

Ho appena comprato il libro "Ebano", di Ryszard Kapuscinski. L'ho visto su uno scaffale in libreria, ho letto qualche mezza pagina e mi ha subito intrippato. L'autore per me è comunque del tutto sconosciuto. Si tratta del resoconto dei viaggi africani dello stesso scrittore, che ha girato in lungo e il largo il continente ormai dimenticato da tutti. Vediamo un po'...

martedì 20 maggio 2008

Recensione del libro "La casa", di John Dickson Carr.



Questo giallo è ambientato nella Lousiana, nel 1927. In una vecchia casa - sulla quale circolano strane voci - si riunisce un'eterogenea compagnia di vecchi e nuovi amici. La padrona di casa ci lascia le penne in modo apparentemente inspiegabile. Poco dopo anche suo fratello subisce un'aggressione da parte di uno sconosciuto, alla quale tuttavia riesce a sopravvivere. Diverse persone cominciano a indagare, in modo farraginoso. Alla fine si scoprirà il colpevole, dopo duecento pagine di supposizioni, vuoti vaniloqui e perdite di tempo varie. Non spiego tutta la trama perché sarebbe un'altra stucchevole perdita di tempo. Ci sono molti personaggi (troppi, molti inutili), trattati abbastanza superficialmente e tra i quali è facile perdersi. L'autore si dilunga troppo, molti dettagli che alla fine si rivelano essere fondamentali sono solo accennati e si perdono in una marea di inutilità, il libro nel suo insieme appare troppo diluito e la tensione che si respira nelle prime pagine si perde per strada, lasciando il campo prima a una semplice curiosità e poi a una sequela di annoiati sbadigli. Un libro del tutto mediocre. Peccato.

domenica 18 maggio 2008

Lettura finita!

Finalmente ho finito l'agonica lettura del libro "La casa", di John Dickson Carr. Una profonda delusione. Comunque voglio pensare che questa sia un'opera non significativa nella bibliografia dell'autore. Se dovessi infatti fare un paragone tra Agatha Christie e John Dickson Carr semplicemente dalla comparazione dei loro libri che ho letto (cioè "Dieci piccoli indiani" della scrittrice inglese e "La casa" dello scrittore americano), dovrei concludere che John Dickson Carr è un povero cialtrone. Il Federico Moccia dei gialli classici.

sabato 17 maggio 2008

Che palle!

Continua l'agonica lettura del libro "La casa", di John Dickson Carr. Mancano trenta pagine alla fine. Che palle. Vari personaggi del libro continuano a fare mezze congetture sulla possibile soluzione dell'omicidio avvenuto, tirandola per le lunghe e senza concludere nulla. Se questo doveva essere un artificio letterario per creare della tensione, l'autore ha fallito miseramente nel suo scopo. Che delusione.

mercoledì 14 maggio 2008

"La casa", di John Dickson Carr: una mezza delusione.

Ho ormai letto i due terzi di questo libro, comprato sull'onda dell'entusiasmo della riscoperta del genere "giallo classico" - se mi è consentito il termine - fatta con "Dieci piccoli indiani", di Agatha Christie. Devo ammettere che John Dickson Carr non è all'altezza della scrittrice inglese, almeno per quanto riguarda il confronto di questi due libri. Forse mi aspettavo troppo. John Dickson Carr non è riuscito a mantenere la tensione delle prime pagine del libro, che si sta rivelando troppo lungo (allungato sarebbe la parola giusta), l'intreccio narrativo sta perdendo mordente, i personaggi sono appiattiti su un formalismo puritano abbastanza inconsistente, il mistero che dovrebbe aleggiare intorno alla casa provoca più che altro sbadigli. Un altro pianeta rispetto a "Dieci piccoli indiani". Forse pago un'eccesso di entusiasmo e quindi di aspettative. Spero che l'ultimo centinaio di pagine risollevi la mia valutazione di questo libro.

lunedì 12 maggio 2008

Una storia che stenta a decollare.

Questo weekend mi sono letto d'un fiato un centinaio di pagine del libro "La casa", di John Dickson Carr. Una lettura piacevole, ma la storia non è ancora entrata nel vivo. Ambientata nel 1927, nel Sud degli Stati Uniti d'America, vede una compagnia di vecchi amici benestanti ricongiungersi in una vecchia casa, costruita nel mezzo delle paludi che circondano New Orleans. Pare che tra le sue mura centenarie sia stato nascosto un mirabolante tesoro, e sulla vecchia magione circolano strane storie. Questo giallo è stato scritto nel 1971 (titolo originale: Deadly Hall), ed è il penultimo lavoro pubblicato da di John Dickson Carr, prima della sua scomparsa avvenuta nel 1977. Una lettura piacevole, come ho detto, ma per il momento niente di più. Spero che la storia si rianimi al più presto.

sabato 10 maggio 2008

Il nuovo libro.

La mia prossima lettura sarà "La casa", di John Dickson Carr. L'autore è un dei grandi dell'epoca d'oro del giallo classico. Di lui avevo letto un libro alcune ere geologiche fa, ma francamente non ricordo il titolo, era comunque un giallo storico che mi piacque moltissimo. Vediamo un po'...

mercoledì 7 maggio 2008

Recensione del libro " Sostiene Pereira", di Antonio Tabucchi.


La storia è ambientata il Portogallo, nell'afoso agosto del 1938. L'Europa è sull'orlo del baratro della Seconda Guerra mondiale, nella vicina Spagna infuria la guerra civile, ma ormai la truppe di Franco stanno per schiacciare le forze repubblicane, anche grazie agli aiuti della Germania e dell'Italia. In Portogallo sta prendendo forza il regime dittatoriale di Salazar, ma la popolazione sembra non rendersene pienamente conto. Non se ne rende conto neanche il protagonista di questo splendido romanzo, Pereira, un corpulento giornalista alla fine della sua carriera, responsabile della pagina culturale del quotidiano Lisbao. Pereira conduce una vita molto ritirata, divisa tra la solitaria redazione della pagina culturale (un piccolissimo ufficio distaccato dalla sede del giornale) e la sua casa ormai vuota, visto che la moglie è morta da anni di tisi. Unica sua compagnia, qualche cameriere, un vecchio prete e il ritratto della consorte defunta. Pereira è ormai completamente disilluso dalla vita, rassegnato a un'esistenza grigia e monotona. Un giorno tuttavia incontra un giovane, Monteiro Rossi, evento questo che gli cambierà la vita. Monteiro Rossi infatti è un sognatore, innamorato di una bella ragazza, molto vicino alla resistenza contro il regime di Salazar. Pereira nutre subito una profonda simpatia per il ragazzo, non esitando ad aiutarlo anche quando si accorge che questi è nei guai. Pereira poi incontra anche un medico, il dottor Cardoso, che lo aiuta a rendersi conto delle trasformazioni che stanno avvenendo in lui e nel suo paese. Questa in fondo è la vera storia raccontata dal romanzo di Tabucchi: il risveglio della coscienza di civile di un uomo qualunque, che si rende conto che la sua nazione è sotto l'odioso e repressivo controllo di una dittatura. Pereira si scontrerà con gli sgherri della polizia politica del regime, giunti a casa sua per interrogare Monteiro Rossi, che rimarrà ucciso a manganellate durante un furioso pestaggio, del quale Pereira sarà impotente testimone. Ma l'orrore del fatto provocherà una inaspettata reazione da parte del pacifico cronista, che riuscirà a beffare il regime facendo pubblicare - aggirando la censura - un'articolo dove denuncerà lo spietato assassinio del giovane, denunciando il regime fascista di Salazar, per scappare subito dopo all'estero.
Gran bel libro. Scritto in modo scorrevole, semplice e coinvolgente, senza inutili retoriche. Antonio Tabucchi, scrittore di razza, utilizza un curioso artificio letterario: tutto il romanzo è scritto come se si trattasse del verbale di un interrogatorio, continuamente costellato da infiniti "sostiene Pereira". Al lettore non è dato sapere davanti a quale tribunale sia finito Pereira. Non credo neanche sia necessario saperlo. Forse è il tribunale della sua coscienza, che a un certo punto si sveglia e gli impone di prendere posizione contro la dittatura e l'oppressione, svegliandosi dal compiacente torpore dove si era adagiato. Comunque sia, un libro che veramente vale la pena di leggere.

domenica 4 maggio 2008

L'orrore delle dittature.

Prosegue la piacevole lettura del libro "Sostiene Pereira", di Antonio Tabucchi. Gran bel libro. Il protagonista, Pereira, è il responsabile della pagina culturale del giornale "Lisboa", piccola realtà editoriale schierata con il regime di Salazar. La storia è infatti ambientata nel Portogallo della fine degli anni '30, in pieno regime dittatoriale e con la guerra civile spagnola alle porte di casa. In realtà Pereira si è allontanato dal mondo reale, rifugiandosi in un mondo disilluso e banale. Passa le sue tristi giornate abbuffandosi e traducendo racconti stranieri, stando ben attento a non scrivere nulla di "politicamente impegnato". L'unico dialogo vero lo intrattiene con una foto di sua moglie, deceduta anni prima di tisi. La sua vita comincia a cambiare quando incontra il giovane Monteiro Rossi, impegnato contro il regime dittatoriale del Portogallo e bisognoso di aiuto. Pereira, all'inizio molto diffidente, lentamente prende consapevolezza che nel suo paese, ma soprattutto dentro di sé, c'è qualcosa che non va. La storia può essere letta come il lento risveglio della coscienza di un individuo contro gli orrori di una dittatura che attanaglia il paese in cui vive. Tutto il libro è finora scritto come se si trattasse del verbale di un interrogatorio, con la frase "sostiene Pereira" ripetuta fino alla nausea. Al momento non è dato al lettore capire davanti a quale tribunale sia finito Pereira, ma in realtà è forse irrilevante saperlo. Una lettura interessante e piacevole.

venerdì 2 maggio 2008

Sostiene Pereira.

La prossima lettura sarà il libro "Sostiene Pereira",di Antonio Tabucchi. Da circa un migliaio di anni avevo preventivato di leggerlo, ora trasformerò questo desiderio in una realtà tangibile. Da questo libro venne tratto un film, con protagonista l'inossidabile Marcello Mastroianni, nel ruolo di Pereira, disilluso giornalista portoghese. Nella mia mente questo libro è un cult. Vediamo un po'...

giovedì 1 maggio 2008

Recensione del libro "Dieci piccoli indiani", di Agatha Christie.

Dieci persone, molto diverse per carattere, estrazione sociale e stile di vita, vengono invitate da un misterioso personaggio in una moderna villa su un isola. Questa eterogenea compagnia si ritrova così completamente isolata dal mondo esterno, in quanto non c'è alcun mezzo di comunicazione con la terra ferma, se non una barca che ogni tanto porta i rifornimenti. Il misterioso ospite tuttavia non c'è. Si avvicina inoltre una tempesta minacciosa. Un quadro abbastanza inquietante, che tuttavia peggiora drammaticamente quando una voce - che risulterà poi essere originata da un grammofono - accusa tutti gli invitati di essere responsabili di uno o più omicidi. Scoppia un pandemonio, in quanto tutti gli invitati respingono ogni addebito e cominciano a rendersi conto che c'è qualcosa di profondamente sbagliato in quella riunione. Ma il peggio deve ancora venire. Perché gli ospiti cominciano a morire. Il primo decesso può sembrare un incidente, ma non i successivi. I superstiti devono quindi affrontare una situazione a dir poco assurda: l'isola è deserta (al di fuori di loro, ovviamente), gli omicidi si susseguono implacabili e quindi l'assassino deve essere uno di loro. Ciliegina sulla torta, le persone sembrano morire in modo da soddisfare il testo di una infantile filastrocca che è incorniciata nelle camere degli ospiti.
L'idea è molto bella. Il libro è scritto bene, è molto coinvolgente, Agatha Christie si diverte a caratterizzare i vari personaggi e a descrivere i loro pensieri e stati d'animo nell'affrontare questa situazione assurda e angosciante. Si può anzi dire che Nigger Island - il luogo isolato dal mondo dove avviene la storia - rappresenta proprio un "laboratorio" dove l'autrice si diverte a vivisezionare l'intimo delle persone, nel tentativo di separare comunque con una linea netta il bene dal male. Se nel corso della storia gli omicidi appaiono veramente inspiegabili, tanto che forte è la tentazione di ricorrere al metafisico per trovare una soluzione, in realtà nel finale l'ordine universale - tutto puritano - viene alla fine ristabilito. Tutti gli invitati finiscono per riconoscere le loro responsabilità, tanto da fare accettare a molti di loro la morte violenta come una inevitabile e anzi giusta conclusione. Una distinzione così netta tra il bene e il male personalmente mi fa sorridere, ma al di là di queste considerazioni filosofiche rimane il fatto che questo libro è un eccellente giallo che vale sicuramente la pena di leggere.

mercoledì 30 aprile 2008

"Dieci piccoli indiani", di Agatha Christie: un'idea geniale.

Ho ormai quasi finito di leggere il libro "Dieci piccoli indiani", di Agatha Christie. Un misterioso personaggio invita in una villa su un'isola isolata e deserta dieci persone. Tutte hanno qualcosa da nascondere, nella loro vita, e hanno la coscienza sporca. Molto sporca. Uno alla volta, inesorabilmente, muoiono. Il primo decesso pare essere un'incidente, ma dal secondo in poi appare evidente che quello che sta avvenendo è una serie di inesplicabili omicidi. I sopravvissuti diventano sempre più guardinghi e disperati, ma nonostante tutte le precauzioni e gli espedienti escogitati gli assassinii continuano inesorabili. Tra i superstiti ormai aleggia una sensazione di ineluttabilità, come se il loro destino fosse già scritto da qualche entità soprannaturale.
L'idea di base è geniale. Lo stile di Agatha Christie, estremamente lineare e asciutto (forse anche troppo), rende la lettura molto semplice. Un libro che si può leggere in poche ore.

sabato 26 aprile 2008

Ritorno ai classici.

Dopo avere letto l'originalissimo (originale fino alla nausea) "Terra!", di Stefano Benni, ho deciso di ritornare alle letture tradizionali, rifugiandomi nel genere "giallo classico". Il prossimo libro che leggerò è "Dieci piccoli indiani", di Agatha Christie.

venerdì 25 aprile 2008

Recensione del libro "Terra!", di Stefano Benni.



Questo libro surreale è ambientato nell'anno 2156. Il pianeta Terra è sprofondato in una nuova era glaciale, conseguenza di una serie di conflitti termonucleari tra le varie superpotenze. Un'umanità stanca, ipertecnologica e sistematicamente manipolata dai mass media agonizza, cercando di sopravvivere alla scarsità di cibo ed energia. In questo clima drammatico, un'astronave del blocco sineuropeo individua un pianeta nello spazio profondo che pare avere le caratteristiche della Terra. Unico problema: si è perso il contatto con l'astronave, né pare possibile localizzare con sicurezza l'esatta posizione del pianeta. Il blocco sineuropeo lancia quindi una spedizione di soccorso, l'astronave Proteo Tien, con un improbabile equipaggio, formato da Cu Chulain (pilota), Mei Ho Li (telepate), Caruso Raimondi (meccanico di bordo), Leporello Atari (robot) , e Sara (ape ammaestrata aiutante di Caruso). Anche le potenze antagoniste inviano le proprie spedizioni, allo scopo di impadronirsi della nuova e sperduta Terra Promessa. Così l'Impero Militare Samurai lancia la piccolisima Zuikaku, comandata dal generale Yamamoto e dal suo vice Arada, con una truppa di cinquanta topi ammaestrati. L'impero amerorusso invia invece l'immensa Calabakrab, colossale astronave comandata direttamente dal Grande Scorpione, feroce dittatore senza scrupoli. Contemporaneamente viene scoperta una misteriosa fonte energetica sotto la vecchia città di Machu Picchu, ultimo rifugio della civiltà Inca. Il blocco sineuropeo invia Frank Einstein, giovane bambino prodigio esperto in informatica e un vecchio saggio cinese, Fang, a dirigere gli scavi per cercare di fare luce su questo mistero. L'enigma verrà svelato alla fine del libro, trovando la soluzione nelle pieghe dello spazio-tempo.
Che dire. L'idea alla base del libro non è malaccio, quello che veramente mi ha deluso è lo stile di Stefano Benni. La struttura del racconto è iperframmentata, divisa tra innumerevoli accadimenti che si svolgono contemporaneamente, farcita con un numero impressionante di personaggi dai nomi impronunciabili, strapiena di raccontini, incisi e amenità varie che rendono veramente arduo riuscire a tenere il filo del discorso. Inoltre Benni vuole a tutti i costi risultare divertente (non sempre riuscendoci), usando un stile fin troppo surreale e in fin dei conti di difficile lettura. Se l'autore avesse tagliato un centinaio di pagine (e assicuro che se ne possono tagliare anche di più senza nulla togliere alla storia di per sè) credo che la lettura sarebbe stata ben più godibile. In giro ho letto recensioni a dir poco entusiastiche su questo libro, per quel che mi riguarda si tratta di una lettura del tutto mediocre.

mercoledì 23 aprile 2008

"Terra!", di Stefano Benni: che fatica finirlo di leggere!

Sono arrivato a pagina 230, me ne mancano ancora una novantina, ma la lettura di questo libro sta diventando un'agonia. L'idea alla base è buona, ma la volontà di Benni di essere a qualsiasi costo divertente ha trasformato questa storia - inizialmente abbastanza godibile - in un arraffazzonato guazzabuglio di personaggi improbabili e di situazioni grottesche (forse assurde rende meglio l'idea), all'interno delle quali mi sto perdendo. Non posso nascondere la mia delusione.

domenica 20 aprile 2008

Amare (anche se banali) considerazioni storico - politiche.

Continua la lettura del libro "Terra!", di Stefano Benni, sia pure a rilento. Una storia scritta nel 1983, verso la fine della guerra fredda. Il libro è intriso del clima di quel periodo storico, non per niente la Terra nel racconto di Benni è regredita in una tremenda glaciazione, conseguenza di una serie di guerre atomiche tra le varie superpotenze. Un'immaginario ormai appartenente al passato. Basta guardare a casa nostra, la piccola italietta. Berlusconi (nostro futuro premier) e Putin (zar russo - ex capo del kgb) si sono di recente incontrati a mangiare e bere in una delle ville di Silvio, ridendo felici mentre il mondo va in rovina. Ormai il pericolo di una guerra mondiale tra blocchi contrapposti è scongiurato. I potenti della Terra ridono felici insieme, spartendosi il pianeta. Mi viene da piangere.

giovedì 17 aprile 2008

Stefano Benni: una fantasia sfrenata. Anche troppo.

Continua la lettura del libro "Terra!", di Stefano Benni. Una lettura divertente e non impegnata, forse quello che ci vuole per distogliere la mente dal triste risultato elettorale. La storia è molto surreale. In estrema sintesi, la Terra è reduce da una serie di guerre devastanti, l'umanità si è ritirata sottoterra, ma le risorse per la sopravvivenza sono in drastico calo. Viene individuato un misterioso pianeta dove pare che le condizioni di vita siano simili a quelle della nostra cara vecchia Terra, subito parte una competizione tra le varie superpotenze per impadronirsene. Contemporaneamente, viene individuata una misteriosa fonte di energia in America Latina. Il racconto è molto frammentato, ci sono una marea di personaggi improbabili e la fantasia di Stefano Benni pare inesauribile, creando infinite situazioni grottesche e surreali. Forse anche troppe.

martedì 15 aprile 2008

Mi è passata la voglia di leggere...

Ho in mano il libro "Terra!", di Stefano Benni. Il mio sguardo vaga smarrito sulla stessa pagina da diversi minuti. L'occhio legge, ma la mente è altrove. Non riesco a levarmi dalla testa che Silvio Berlusconi è di nuovo saldamente al timone. Un vecchietto di settanta anni, tenuto insieme dai lifting e dal trucco. Uno che nei precedenti governi ne ha fatte di tutti i colori, modificando il codice penale in tempo reale in base alle sue necessità processuali, guidando l'Italia alla faccia di ogni più elementare norma contro i conflitti d'interessi. Tutto il mondo ride di moi, paese allo sbando ormai ridotto a un patetico circo equestre. Certo, il centrosinistra da anni ormai non faceva più niente di sinistra e per molti aspetti era impresentabile, certo è un bene che i micropartiti finalmente siano spariti, ma questo non basta a lenire la profonda delusione che mi sta macerando. Comunque ogni popolo ha i governanti che si merita. Purtroppo.

lunedì 14 aprile 2008

"Terra!", di Stefano Benni: prime impressioni.

Stasera ho letto una quarantina di pagine di questo libro. Una surreale storia di fantascienza. Forse anche un po' troppo surreale. Comunque molto divertente. Il problema è che ci sono una marea di personaggi dai nomi improbabili, tenerli a mente tutti non è proprio una cosa banale. Forse sto diventando vecchio...

domenica 13 aprile 2008

E adesso Stefano Benni.

Dopo "La variante di Luneburg", di Paolo Maurensig, cambio del tutto genere e mi leggerò "Terra!", di Stefano Benni, autore del quale non ho mai letto niente. Speriamo bene.

sabato 12 aprile 2008

Recensione del libro "La variante di Luneburg", di Paolo Maurensig.


Una lettura veramente piacevole. Una storia originale. Un ricco industriale tedesco, Dieter Frisch, viene trovato insiegabilmente morto nel giardino della sua villa. Tutto lascia pensare a un suicidio, anche se le motivazioni di un simile insano gesto sono apparentemente inspiegabili. In realtà si tratta dell'epilogo di una vicenda cominciata oltre cinquant'anni prima, una rivalità terribile tra due giocatori di scacchi, uno ebreo, l'altro (Dieter Frisch) convinto nazista. Lo scontro tra i due inizia in un torneo a Baden Baden, poco prima della notte dei cristalli, l'infame pogrom che diede inizio nel 1938 nella Germania nazista alla sistematica e atroce persecuzione degli ebrei. Tabori, giovane promessa degli scacchi - colpevole solo di essere di origini semite - viene defraudato a tavolino della vittoria guadagnata contro l'allora ufficiale delle SS Dieter Frisch, e deve scappare per salvarsi dalla vendetta dei nazisti. Tabori finisce poi internato nell'inferno del campo di concentramento di Bergen Belsen, dove perde i genitori. Qui incontra il vecchio rivale, che lo sfiderà nuovamente in un torneo allucinante, dove la posta in gioco sono i prigionieri. A ogni sua sconfitta, Tabori deve assistere all'esecuzione di un certo numero dei suoi compagni. Viceversa, a ogni vittoria un certo numero di ebrei viene risparmiato. Alla fine l'avanzata delle truppe alleate porrà fine a questa mostruosa competizione. Tabori per anni cercherà il suo antico nemico, fallendo tuttavia nel tentativo di rintracciarlo di persona. Ci riuscirà invece con un abile stratagemma: farà di una giovane promessa degli scacchi, Mayer, un vero maestro, in grado di mettersi in mostra nei vari tornei attirando quindi su di sé l'attenzione di Dieter Frisch, divenuto quest'ultimo nel frattempo direttore di una rivista specializzata sull'argomento. Sarà lo stesso Mayer ad architettare la vendetta organizzando un incontro apparentemente casuale con Frisch su un treno. In realtà nel libro molto viene lasciato alla fantasia del lettore per capire esattamente come la vendetta abbia potuto concretizzarsi nel suicidio dell'ex ufficiale delle SS, ma questo non hai eccessiva importanza, per come è costruita la storia. Un libro veramente originale, costruito con mestiere e scritto in modo avvincente. Molto curata la caratterizzazione psicologica dei personaggi, molto interessanti (anche per uno che come me non è un appassionato) le descrizioni dei vari modi di vivere il gioco degli scacchi e le personalità dei vari maestri storici di questa disciplina, toccante tutta la parte inerente le persecuzioni ebraiche, in particolare le vicende del campo di concentramento di Bergen Belsen. Peccato per qualche smagliatura nel racconto, la cui assenza avrebbe fatto di questo ottimo libro un capolavoro.

lunedì 7 aprile 2008

"La variante di Luneburg", di Paolo Maurensig: prime impressioni.

Il libro, scritto in terza persona, comincia con un breve preambolo sull'origine del gioco degli scacchi. Poi descrive l'inspiegabile suicido di un ricco e attempato manager tedesco. La scena si sposta poi sulla vita del suicida. Maurensig scrive molto bene, la storia promette bene. Peccato che il tempo da dedicare alla lettura nei prossimi giorni sarà pochissimo...

domenica 6 aprile 2008

La prossima lettura.

Il prossimo libro sarà "La variante di Luneburg", di Paolo Maurensig. Ho visto buone recensioni, gli amici che lo hanno letto ne parlano bene, vediamo un po'...

sabato 5 aprile 2008

Recensione del libro "Arcobaleno", di Banana Yoshimoto.


La protagonista, la giovanissima Eiko, rimasta orfana dei genitori, si ritrova a fare la cameriera in un ristorante polinesiano a Tokyo, l'Arcobaleno, da cui prende il nome questo libro. La sua vita è interamente votata al lavoro, rimanendo pochissimo tempo disponibile per sé stessa. Tuttavia i ritmi frenetici imposti dalla capitale giapponese ben presto la sfiancano, provocandole svenimenti e malori vari. Il proprietario dell'Arcobaleno, il signor Takada, decide comunque di aiutarla fornendole un lavoro più leggendo: fare la governante per sua moglie, incinta e bisognosa di aiuto. Eiko si troverà ben presto costretta a fare i conti con l'avvilente realtà di casa Takada, rimanendo invischiata in una situazione difficile da gestire. La coppia infatti è in crisi profonda, e lo stesso Takada finirà per dichiararle il suo amore, sconvolgendo la giovane e ingenua Eiko. Questa infatti, per capire cosa fare della sua vita, si regala un viaggio in Polinesia, per potere guardare con maggiore distacco gli ultimi avvenimenti. Il libro, scritto tutto in prima persona, è diviso tra il viaggio di Eiko - che può essere visto anche come un viaggio interiore, e le sue vicissitudini all'Arcobaleno e in casa Takada. La storia comincia molto lentamente, accelera gradualmente di ritmo per finire quasi tagliata con l'accetta. Mah. Scritto in modo talmente semplice da sembrare quasi infantile, specie per quanto riguarda i dialoghi, questo libro mi ha lasciato molto perplesso. Non mi ha regalato nessuna emozione, a differenza di "Kitchen", risultando molto prevedibile e stereotipato, specie per quanto riguarda la descrizione del rapporto tra i coniugi Takada. Una crisi matrimoniale da fumetto rosa, con l'uomo che si innamora della ragazzina ingenua venuta dalla provincia. Tutta la storia può essere vista come un semplice pretesto per descrivere i pensieri, il mondo interiore della giovane Eiko, ragazza di provincia da valori semplici e legati alla natura che si trova catapultata nella realtà disumanizzante di una grande metropoli, con le sue logiche tutte commerciali molto lontane dal buon senso. Tuttavia anche guardando il libro da questo punto di vista si salva poco. Certo, ci sono molti temi cari alla Yoshimoto: la solitudine, la morte, la necessità di sopravvivere in qualche modo alla scomparsa delle persone care, la difficoltà a costruire un rapporto sentimentale concreto e reale, la bellezza di godersi le piccole cose della vita, la realtà metropolitana vissuta come un esperienza disumanizzante. Tuttavia manca la magia, le note surreali e l'inventiva che invece permeavano "Kitchen", rendendo la lettura di questo libro una vera goduria. Insomma, nel complesso "Arcobaleno" e stato una delusione. Comunque la Yoshimoto è una scrittrice che mi ha incuriosito molto, nonostante quest'ultimo flop.

giovedì 3 aprile 2008

Un tema caro alla Yoshimoto: la solitudine.

Oggi posto un breve brano tratto dal libro di Banana Yoshimoto "Arcobaleno":

"... In quell'occasione pensai addirittura alla solitudine profonda di persone che avevano inventato storie come quella di Doraemon, di macchine del tempo, di robot perennemente al loro fianco...
Pensai alla tristezza universale degli esseri umani che ti porta ad immaginare oggetti in grado di risolvere il problema, amici che stanno al tuo fianco senza mai morire."

I personaggi di Banana Yoshimoto sono sempre alle prese con drammi familiari, in genere si trovano ad affrontare la vita soli e disperati, immersi in un mondo metropolitano dove l'individuo è perso in una folla anonima. Per sopravvivere rimane la fantasia...
Insomma una visione del mondo non troppo ottimistica. Comunque questo libro non mi sembra all'altezza di "Kitchen". Troppo lineare, quasi banale e scontato. Mah!

mercoledì 2 aprile 2008

"Arcobaleno", di Banana Yoshimoto: prime impressioni.

Che dire. Questo libro è scritto in maniera molto semplice e lineare. Forse anche troppo. La protagonista, la giovane Eiko, neanche a dirlo orfana di padre e ben presto anche di madre, si concede una vacanza a Tahiti. Ne approfitta per fare una ricapitolazione delle ultime vicende della sua vita, consumata prima come cameriera in un ristorante a Tokio e poi come governante nella casa del proprietario dello stesso, che sta attraversando una profonda crisi coniugale. Insomma ci sono molti degli elementi di "Kitchen", primo libro della Yoshimoto che ho letto e che mi ha folgorato: una giovane donna sola e orfana, la morte delle persone care, la falsità della vita nelle grandi città, la solitudine, il rifugiarsi nel piacere delle piccole cose quotidiane come rimedio alle avversità dell'esistenza moderna. Non c'è traccia invece (per il momento) degli elementi surreali/fantasy che arricchivano "kitchen", mentre anche la struttura del racconto è molto più semplice e meno avvincente.

lunedì 31 marzo 2008

Il prossimo libro.

Ho deciso di leggere un'altro libro di Banana Yoshimoto, scrittrice giapponese che mi ha molto colpito con il suo libro d'esordio, "Kitchen". Oggi ho comperato "Arcobaleno". Comincerò a leggerlo stasera, prima di andare a dormire. Sono proprio curioso...

sabato 29 marzo 2008

Recensione del libro "Il paradiso degli orchi", di Daniel Pennac.



Il protagonista di questo libro, scritto tutto in prima persona, è l'ormai mitico Benjamin Malaussène, assunto come capro espiatorio in un grande magazzino. Il suo compito consiste nell'impietosire i clienti pronti a sporgere reclamo per la merce difettosa, facendo risparmiare all'azienda un sacco di soldi. Malaussène con questo improbabile ma lautamente pagato mestiere mantiene la sua ancora più incredibile famiglia, formata dai suoi fratellastri e sorellastre, sfornati a periodi regolari dalla loro comune madre, abituata a cambiare frequentemente uomini, non prima di essersi fatta mettere incinta. Tuttavia nel grande magazzino cominciano a verificarsi inspiegabili attentati dinamitardi, che avvengono sempre in presenza del buon Malussène, che inevitabilmente finisce per diventare il principale indiziato. Dovrà quindi improvvisarsi investigatore, aiutato da una giornalista d'assalto e dalla sua famiglia.
Una storia quasi surreale, per alcuni aspetti fiabesca, scritta con eccezionale fantasia e tanto humour, che gronda da ogni pagina del libro. Il personaggio di Malussène, poi, è semplicemente geniale: non per niente è ormai diventato un mito del nostro tempo. Un libro che comunque è anche una divertente riflessione sulle contraddizioni della nostra società consumistica. In particolare nella storia è sempre presente il conflitto tra la necessità di accettare razionalmente le convenzioni borghesi da una parte (il grande magazzino incarna questo aspetto), e il bisogno di accettare l'irrazionale, il non codificato come necessità per viversi la vita (la famiglia di Malaussène ne è il paradigma). Insomma un libro che si presta a riflessioni che vanno molto al di là della storiella divertente che potrebbe emergere da una prima superficiale lettura.
Un libro che vale senz'altro la pena di leggere, anche se devo dire che lo stile di Pennac in sé non è sempre fluido e lineare.

mercoledì 26 marzo 2008

"Il paradiso degli orchi", di Daniel Pennac: lettura finita.

Stasera ho finito di leggere il libro "Il paradiso degli orchi", di Daniel Pennac. Un buon libro, molto originale e godibile, tuttavia devo dire che lo stile di Pennac non mi convince del tutto. A tratti è veramente poco fluido, anche se privo dei fastidiosi barocchismi letterari alla Baricco e comunque ricco di contenuti e idee brillanti. Voglio dormirci sopra.

domenica 23 marzo 2008

Buona Pasqua!

sabato 22 marzo 2008

"Il paradiso degli orchi", di Daniel Pennac: prime impressioni.

Che dire, ho letto solo poche pagine. L'idea alla base di questo libro è geniale. Non per niente ha creato un mito, Benjamin Malaussène, l'uomo che di professione fa il capro espiatorio, anticonformista al di fuori di tutti gli schemi. Malaussène si muove nel mondo surreale di un grande magazzino, diviso tra il suo improbabile lavoro e la sua famiglia, costituita dai suoi fratellastri e sorellastre, che sua madre ha messo al mondo da uomini diversi, e un cagnone puzzolente, Julius. Tutte le pagine sono permeate di una ironia veramente molto godibile, le pagine scorrono piacevolmente. Solo ogni tanto lo scritto non è molto fluido, alle volte Pennac mi sembra scriva in modo disarticolato, per cui devo rileggere per ritrovare il filo. O Forse sono io troppo stanco...

venerdì 21 marzo 2008

La prossima lettura.

Gli ultimi due libri sono stati delle eccellenti letture. Prima lo spassosissimo "Toni Picotto e il tempio dei sortilegi", del geniale ma sconosciuto Uto Grisolfi, poi il crudo "Come una bestia feroce", di Edward Bunker, vero scrittore di razza. Il prossimo sarà "Il paradiso degli orchi", di Daniel Pennac, che mi risulta essere il primo della saga di Benjamin Malaussène, l'ormai mitico prototipo del capro espiatorio. Vedremo.

giovedì 20 marzo 2008

Recensione del libro "Come una bestia feroce", di Edward Bunker.



Edward Bunker, delinquente incallito nella vita reale, ha con questo libro fornito una stupenda fotografia del mondo del crimine, guardato dal punto di vista dei malviventi. Uso volutamente il termine "fotografia", dopo avere passato ore a cercare quello giusto. Lo stile di Bunker, essenziale, privo di artifici retorici o di forme lessicali particolarmente ricercate, poco descrittivo, dai ritmi sempre più serrati a mano che la storia entra nel vivo, spinge il lettore a immedesimarsi nella vita del protagonista Max Dembo, venendo letteralmente risucchiato nella storia. Tuttavia la fotografia che in modo magistrale Edward Bunker fornisce del mondo del crimine non è un fotografia asettica, in bianco e nero, né iperrealista. Bunker è un grande perché riesce veramente a mantenere un equilibrio perfetto - ma dinamico - tra la mera descrizione dei fatti e la necessità di rendere godibile la loro fruizione da parte del lettore. Il libro è diviso in tre parti ed è interamente scritto in prima persona. La prima parte lascia un certo spazio ai ragionamenti e alle considerazioni sulla vita di Max Dembo, criminale con evidenti tratti autobiografici, e descrive l'uscita di galera in libertà condizionata del protagonista, convinto di tentare a ogni costo di reinserirsi nella società civile. Questa prima parte è la più "filosofica", se mi è permesso il termine, regalando al lettore diverse "perle" sulla visione del mondo dei criminali. Quella successiva descrive il totale fallimento dei tentativi di Max di girare pagina. Non c'è nulla da fare: gli automatismi della società (e anche i suoi personali) lo riconducono inevitabilmente sulla strada del crimine. La storia accelera rapidamente di ritmo, Bunker asciuga rapidamente ogni velleità filosofeggiante e il libro descrive lo scivolare di Max Dembo nel mondo della rapina a mano armata con toni "naturalistici", se mi è permesso il termine. L'adrenalina comincia a scorrere nelle vene dei personaggi e anche in quelle di chi legge (almeno questo è quello che è successo a me). La terza parte è puro cardiopalma. Leggerla è stato per me come essere seduto in prima fila al cinema a guardare un ottimo film d'azione. Impossibile staccare. L'ho letta tutta di fila, rimanendo sveglio fino a notte fonda, ipnotizzato dal magico Edward Bunker. Su tutta quest'ultima parte aleggia la spada di Damocle del destino. Max Dembo percepisce chiaramente la sua situazione senza speranza, eppure continua nel suo percorso di lucida e consapevole fuga da ogni regola sociale, vissuta come realtà inevitabile, un destino ineluttabile. Fino all'epilogo finale, che termina con un secco "Fanculo!", che chiude questo stupendo romanzo. Forse il "Fanculo!" finale è la perfetta sintesi del pensiero criminale del protagonista Max Dembo. Grande libro, grande Edward Bunker. Libro altamente consigliato.

mercoledì 19 marzo 2008

"Come una bestia feroce", di Edward Bunker: lettura finita.

Ho appena finito di leggere questo libro. Bellissimo. Edward Bunker è un grande scrittore che ho scoperto grazie a Il Prins, che ringrazio sentitamente. Difficile scrivere una recensione così a caldo. Mi prendo un giorno per riflettere, quando penso a questo libro i pensieri turbinano nella mia testa. Mi serve un pò più di ordine mentale. Meglio dormirci sopra...

martedì 18 marzo 2008

Pensiero criminale - parte seconda.

Oggi posto un altro brano dal libro "Come una bestia feroce", dello scrittore Edward Bunker. Il pensiero di un compagno di cella del protagonista Max Dembo, prototipo del criminale incallito.

"... Ma a un certo punto ho deciso di non sfidare il destino. E il mio destino è di essere un criminale e di passare tre quarti della mia vita in galera. Magari il tuo è diverso. Ma un giorno o l'altro, che sia domani o fra vent'anni quando ne avrai cinquanta, ti renderai conto che chiunque tu sia e qualsiasi cosa tu abbia fatto, non poteva andare in modo granché diverso. Ti accorgerai che nella vita ti viene richiesto di fare una certa cosa, e quando sarai alla fine e le somme saranno tirate, sarai stato quella cosa lì, qualsiasi cosa sia. Hai ancora qualche speranza davanti a te, ma un giorno o l'altro scoprirai di essertela lasciata dietro. ..."

Mi piace molto lo stile essenziale di Edward Bunker, che presenta il mondo della delinquenza senza alcuna aura romantica, senza nessuna giustificazione morale (nè condanna) ma senza neanche indulgere nell'autocompiacimento del crimine. Gran scrittore.

lunedì 17 marzo 2008

Pensiero criminale.

Posto un brano tratto dal libro "Come una bestia feroce", di Edward Bunker, che rende bene l'idea del modo di pensare del protagonista, Max Dembo, un criminale incallito:

"... Sarei sceso in guerra contro la società, o forse mi sarei soltanto limitato a riprendere lo ostilità. Non provavo più alcun timore. Mi dichiarai libero da ogni regola, eccetto quelle che io stesso avessi voluto accettare. E anche quelle le avrei mutate a mio piacere. Avrei afferrato tutto ciò che avessi desiderato. Avrei ripreso a essere quello che ero, ma con più determinazione. Un criminale. La mia scelta, il mio totale abbandono delle restrizioni sociali (a patto che la società non me le avesse imposte con la forza) era anche la mia verità. Altri avrebbero scelto di accrescere il più possibile il loro potere. Ma il crimine era il mio mondo, il luogo in cui mi sentivo a mio agio e non lacerato nel profondo. E sebbene si trattasse di una libera scelta, era anche destino. La società mi aveva reso quello che ero, e mi aveva messo al bando per paura di quanto essa stessa aveva creato; ma io andavo fiero di questa mia condizione. ..."

sabato 15 marzo 2008

"Come una bestia feroce", di Edward Bunker: prime impressioni.

Edward Bunker scrive bene. Bene a dire poco. Uno stile che rende onore alla sua biografia da delinquente incallito. Il protagonista del libro, un evidentemente autobiografico Max Dembo, descrive in prima persona il suo tentativo fallito di reinserimento nella società dopo otto anni di galera. Nessuna aura romantica, nessun tentativo di introspezione psicologica o di giustificazione morale. Semplice descrizione della realtà del mondo del crimine, nuda e cruda. Edward Bunker è un grande scrittore.

giovedì 13 marzo 2008

Edward Bunker: una vita spericolata. A dire poco.

Edward Bunker, nato nel 1933 e morto nel 2005, è stato uno scrittore statunitense con un passato da criminale incallito. Nato in una famiglia disastrata, venne prima affidato ai servizi sociali, per passare poi nella devastante realtà del riformatorio, dell'ospedale psichiatrico e infine del carcere. E' proprio in carcere che comincia a scrivere i suoi romanzi noir, che di fatto sono quindi autobiografici. Sarà proprio la letteratura a permettergli di voltare pagina e ritornare alla vita civile, dopo avere passato buona parte della sua vita in gattabuia. Le premesse sono ottime. Adesso comincia la lettura del suo libro "Come una bestia feroce". Vedremo.

mercoledì 12 marzo 2008

Edward Bunker!

Finalmente è arrivato "Come una bestia feroce", di Edward Bunker, ordinato un mese fa. Dopo il geniale "Toni Picotto e il tempio dei sortilegi", divertentissimo libro dello sconosciuto scrittore Uto Grisolfi, cambio ancora una volta completamente genere. Dal Friuli passo ai bassifondi di Los Angeles...

martedì 11 marzo 2008

Recensione del libro "Toni Picotto e il tempio dei sortilegi", di Uto Grisolfi.



Il caso ha voluto che m'imbattessi in questo libro sconosciuto. Dopo tanti pacchi presi da autori blasonati, incredibile trovare tanta qualità e originalità in uno scrittore dal nome mai sentito prima.
Il protagonista Toni Picotto è un'impresario edile incaricato di risistemare un letamaio in una vecchia casa dell'alto Friuli. Per mandare avanti il cantiere si avvale dell'aiuto di due suoi amici: l' ex sindacalista con velleità artistiche Grande Tau e Ico, suo compagno di sbronze e deliri pseudoculturali. I due si sono messi in testa di realizzare un improbabile progetto culturale che si pone come obiettivo la riscoperta delle radici celtiche del popolo friulano. A tal fine decidono di mettere in scena nelle sperdute osterie della Carnia delle rappresentazioni di antichi poemi, improvvisandosi novelli bardi. Ovviamente la cosa non va a buon fine. In seguito a questa e a altre esperienze frustranti, il Grande Tau decide di abbandonare gli impegni lavorativi presi e di partire per un ancora più delirante viaggio iniziatico in Nepal. Nonostante la defezione del Grande Tau, Toni Picotto riesce comunque a portare a termine il lavoro assegnatogli. Nel corso dei lavori si scoprirà comunque che il letamaio sorge sopra i resti di un'antico luogo di culto celtico, teatro delle cerimonie rituali di una misteriosa setta di iniziati. Sarà proprio durante una di questi riti iniziatici che il Grande Tau - dopo avere miseramente fallito nel concretizzare il suo viaggio iniziatico - e i suoi amici affronteranno l'ira dell'antica divinità Gwiddyon e dei suoi discepoli, con esiti nefasti ancorchè esilaranti.
Lo stile di Uto Grisolfi è fresco, asciutto, essenziale, eminentemente basato su dialoghi similmente alla narrativa d'oltroceano e lontano anni luce dai barocchismi e dagli orpelli stilistici a cui tanti blasonati autori nostrani ci hanno abituato. L'autore ha genialmente creato una serie di personaggi fortemente caratterizzati, efficacemente rappresentati con dialoghi molto divertenti e battute spassose, che si trovano a vivere una storia farcita di trovate originali e situazioni esilaranti rese magistralmente. Un'autore con una cifra stilistica personalissima che ha saputo regalarmi diverse ore di assoluto piacere e divertentissimo godimento, e del quale spero di potere leggere quanto prima altre opere. Grazie, Uto Grisolfi!

lunedì 10 marzo 2008

Altra perla dal libro "Toni Picotto e il tempio dei sortilegi", di Uto Grisolfi.

Difficile selezionare un pezzo particolarmente significativo all'interno di questo libro, in quanto l'autore Uto Grisolfi è abilissimo nel creare situazioni grottesche, facendo largo uso dei dialoghi per caratterizzare dei personaggi molto divertenti. In questo breve brano, il povero Toni Picotto è alle prese con il delirante ingegnere Roncazzi della Rovere, incaricato di seguire l'andamento dei lavori di ristrutturazione di un letamaio di una casa dell'alta Carnia.

..."Vede signor Picciotto, la dottoressa Provolich è una geologa. Si occuperà della determinazione del volume reale della massa di materia organica attualmente immagazzinata nella concimaia” chiosa l'ingegnere tutto eccitato, che prosegue alzando il tono della voce: ”Lei adesso mi chiederà: ma come fa a determinare l'esatto volume del materiale organico, visto che quello presente sotto il livello del suolo non è visibile? Non è vero, signor Ricotto? Su, forza: lo dica!!”
“Veramente mi chiamo...”
"La sua è una domanda lecita, ma io le rispondo: facendo dei banali carotaggi, caro signor Bucotto!” lo interrompe l'ingegnere, che continua sbraitando: ”E adesso la sua domanda successiva sarà: va bene, adesso abbiamo il dato relativo al volume ATTUALE di massa organica presente nella concimaia, perfetto, ma ora, caro ingegner Roncazzi della Rovere, come faremo a calcolare l'andamento FUTURO della stratificazione della massa organica nella concimaia?! Non è vero, signor Picciotto? Su, forza: LO CHIEDA!!”
"Ma che importanza...”
“La sua è una domanda lecita, e io le rispondo: un team di medici veterinari, caro signor Ricotto! AHAHAH!"...