domenica 15 giugno 2008

Recensione del libro "La fattoria del diavolo", di Andrea Maria Schenkel.

In una piccola comunità agricola tedesca nel primo dopoguerra avviene un terribile fatto delittuoso: in una isolata fattoria tutti i membri di una famiglia (e la loro serva) vengono orrendamente massacrati a colpi di piccone. Il libro è scritto come il resoconto di un vecchio abitante del villaggio che torna nel suo paese natio per raccogliere le testimonianze dei suoi compaesani sull'episodio di cronaca nera, da lui appreso leggendo un giornale. I resoconti dei vari personaggi, scritti in prima persona e dal taglio decisamente giornalistico, sono intervallati da brani in terza persona in cui il lettore può immergersi nella descrizione - centellinata - di quanto veramente accadde nella fattoria. L'autrice crea abilmente delle false piste per cui fino alla fine non si capisce chi è l'assassino, che in realtà è un'insospettabile della piccola comunità. Il quadro che viene fatto dell'ambiente di campagna non è certo idilliaco. Gli abitanti vengono mediamente descritti come persone che, sotto l'apparenza di una vita tranquilla, bigotta e perbenista, in realtà vivono in un mondo fatto di solitudine, grettezza, frustrazioni e disperazione. Il libro è brevissimo, si può tranquillamente leggere in un'oretta scarsa. Infatti è lungo solo 147 pagine, ma siccome è suddiviso in una marea di capitoletti, intervallati tra l'altro da una litania di preghiere che invocano il perdono di Dio, lo scritto è veramente poco. Che dire. Una libro che si fa leggere, nulla di più, certo che non capisco come un romanzo giallo di questo tipo - senza infamia nè lode - possa diventare un best-seller internazionale. Misteri del marketing? Non lo so...

Nessun commento: